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David Carson – The End of Print II

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PROMETHEUS IS THE TRUE HERO OF CULTURE!

Intorno al mito di Prometeo ho realizzato nel 2005 insieme al prof. Carlo Infante un format di comunicazione emozionale.
PROMETEO.
fuoco . ribellione . tecnologie . conoscenza . simulazione . empatia
http://prometeo.global-local.net

David Carson

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Il video su Carson realizzato dalla hillmancurtis

David Carson – The End of Print I

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Processi Cognitivi

Il graphic designer si rapporta con la comunicazione come un fiore si rapporta con un insetto.
Il risveglio della natura
Attraverso l’architettura delle informazioni (forme, colori, movimento) traduce in elementi visivi un messaggio che dovrà trasmettersi da un supporto (carta, schermo) alla mente di chi lo guarda. Conoscere i meccanismi della mente è un processo ancora in corso. Scienziati in ogni parte del mondo cercano di svelare i misteri del cervello e della nostra percezione del mondo. Scrive Giuseppe Kanizsa, uno degli psicologi italiani che ha seguito le ricerche sulla Gestalt:

Una scienza della percezione può avere inizio soltanto nel momento in cui ci si chiede perchè e come l’ambiente nel quale viviamo si articola per noi in oggetti distinti uno dall’altro, e perchè esso si articola proprio in quegli oggetti, i quali possiedono proprio quelle date caratteristiche di forma, di colore, di grandezza, di odore, di durezza, che sono posti ad una certa distanza da noi, che si muovono a varie velocità o stanno completamente immobili. [...] L’uomo della strada è probabilmente convinto che gli scienziati abbiano già risolto questi problemi – ma quanto al fatto che nelle singole occasioni vengano registrati quegli oggetti, proprio con quelle caratteristiche, egli non riesce proprio a capire perchè mai si dovrebbe vedere qualcosa d’altro. Questo attegiamento può essere definito come “realismo ingenuo”.

Mentre scrivevo questo articolo sui processi cognitivi è passato a trovarmi mio padre. Il suo realismo ingenuo è un attegiamento naturale, è una persona che si guarda intorno e cerca di scoprire il mondo senza chiedersi il perchè e il come delle cose. Ridiamo un sacco quando stiamo insieme, basta uno sguardo, una situazione che anch’io lascio le redini della ricerca e mi abbandono ad un sano realismo ingenuo.
Gli ho fatto vedere quest’immagine:

Forse farà lo stesso effetto anche a voi appena scoprite che le linee orizzontali sono parallele. Quando gliel’ho fatta vedere e poi svelato che le linee sono effettivamente parallele, basta scorrere con un foglio di carta l’immagine, mio padre ha risposto: “Ho il cervello che funziona bene!” e subito dopo cercava di allontanare dallo schermo la freccetta del mouse credendo fosse una zanzara. Ci stavamo soffocando dal ridere!
Certo, il cervello funziona bene, proprio perchè la nostra percezione contempla l’illusione ottica. Non è certo il compito del designer studiare la fisiologia della visione, ma serve a codificare i messaggi che ci arrivano dall’esterno in modo critico e a utilizzare tecniche e principi della percezione per sviluppare un design che riesca a trasmettere a pieno quello che abbiamo in mente.
Riprediamo Kanizsa e la figura da lui inventata che prende il suo nome.

superfice anomala, G. Kanizsa 1955
Superfice anomala. G. Kanizsa, 1955

Se proviamo a descrivere questa figura probabilmente saremmo tentati dal vedere questa figura come

costituita da un triangolo bianco non trasparente che copre parzialmente tre dischi neri ed un altro triangolo delimitato da un margine nero.

In realtà il triangolo bianco non esiste, è soltanto un fenomeno ottico, si materializza nella nostra mente anche se la figura è effettivamente composta da tre cerchi neri e tre angoli disposti in un particolare ordine. Quello che ci porta a capire come funzionano i processi cognitivi e perchè ci comportiamo in un determinato modo deriva dal fatto che il triangolo bianco non soltanto lo immaginiamo, ma lo vediamo con i nostri occhi. Da questo punto in poi entreremmo nel vasto campo della psicologia di cui ne vedremo alcuni dei risultati e come questi hanno influenzato il design e determinato attraverso il mondo dei media la società delle immagini in cui viviamo.

Quando mi iscrissi alla Facoltà di Scienze dell’Informazione all’Università di Torino due materie su tutte attrassero la mia curiosità. Cibernetica ed Elaborazione delle Immagini. Cibernetica era un corso semestrale tenuto dalla prof.essa Helga Schiff-Sertorio che ci accompagnò alla scoperta delle funzioni biologiche del cervello umano. Ricordo che molto di quando conosciamo sul nostro cervello è frutto di ricerche sul cervello delle api. Come mai? Lei rispose con molta calma, nel suo italiano con accento tedesco, “perchè è più semplice”. Passammo poi allo studio della Bioelettronica ovvero alla modellizzazione matematica di fenomeni come la memoria e la percezione. Attraverso questi modelli è possibile simulare alcuni comportamenti del nostro cervello e quindi studiare nel dettaglio il come e il perchè del funzionamento dei nostri sensi. Furono mesi intensi in cui concetti come quelli di reti neuronali, automi e percezione si modulavano in codice che poteva essere scritto al computer. Oggi a distanza di una decina d’anni vedo intorno a me i frutti di quegli studi che andavano diffondendosi intorno al globo.
E la comunicazione non è stata immune. I cambiementi avvengono! Nel frattempo il prof. Nello Balossino in un piccolo laboratorio di pochi metri quadrati portava avanti i suoi lavori sulla digitalizzazione e l’analisi computerizzata della Sacra Sindone che è custodita nel Duomo della città. Cibernetica ed Elaborazione delle Immagini mi aprirono un nuovo mondo in cui continuare a cercare di capire se l’espressione artistica, ovvero la comunicazione di un messaggio innanzitutto interiore, potesse trovare espressione nel nuovo strumento che ormai stavo finendo di conoscere fin nei minimi dettagli del funzionamento.
In quella prima metà degli anni novanta la società dell’immagine iniziava a correre sempre più in fretta sull’onda della rivoluzione informatica che ormai stava completando il suo deflusso aprendo la strada al mondo della rete. Il computer era diventato ormai uno strumento maturo e offriva a costi relativamente bassi l’accesso ad un ventaglio di applicazioni, ovvero i programmi, che permettevano di scrivere, disegnare e modellare mondi tridimensionali. Mentre seguivo le lezioni di informatica mi dilettavo a scoprire alcune applicazioni che potevano girare sul mio computer. Un personal computer assemblato da me. Lo avevo visto nelle sue componeti pricipali, la famosa architettura di Von Neuman, e vedevo, anzi percepivo, scorrere gli elettroni all’interno di quella città fatta da transistors, resistenze e accumulatori. La metafora con l’idea di un mondo ideale era ovvia. Avevo esperito il malfunzionamento di una piccola resistenza che aveva bloccato l’intero computer, così come quella del bruciarsi del processore. Sapevo che erano due componenti assolutamente con compiti diversi, ma che in realtà concorrevano insieme al funzionamento dell’intero sistema computer elettronico.
Imparai a modellare con un primitivo 3D Studio nella sua prima versione e vi propongo questi rendering. Sono immagini sintetiche, immagini che erano inizialmente nella mia mente e che attraverso il computer prendevano vita. Quell’illusione di costruire nuovi oggetti è divenata la mia professione di designer, artista e teorico dei nuovi media.

La percezione che stavo vivendo un momento storico importante era molto forte. Riflettevo sul nuovo strumento di comunicazione in relazione alle leggi che parallelamente studiavo all’Università. La ricerca era incentrata proprio sulle caratteristiche intrinseche della comunicazione visiva. La città di Torino mi appariva come New York, anche se concentrata nella sola via Roma, e mentre Fred Buscaglione rimandava ai locali jazz d’oltreoceano mettevo a confronto le teorie matematiche della comunicazione con quanto il mondo del design e della pubblicità iniziava a produrre a ciclo continuo. Se vi ricordate si parlava di ‘bombardamento di immagini’. La teoria matematica della comunicazione di Cloude Shannon è stato scritto nel 1948 ed oltre a fornire un metodo per misurare la quantità di informazione attraverso la notazione logaritmica ci lascia con delle affermazioni che appaiono ancora valide in termini di rapporto uomo-informazione.

La comunicazione è tale solo ove vi sia un passaggio di informazioni tra emittente e ricevente e una risposta.
A Mathematical Theory of Communication by Claude E. Shannon, 1948

Per Shannon è importante che vi sia un feedback, segnale di ritorno, dal ricevente all’emittente, che serve a verificare che il messaggio sia arrivato a destinazione. Il feedback consente all’emittente di verificare l’intenzionalità del ricevente a recepire il messaggio, ai fini di prevedere il seguito che potrà avere la comunicazione. Per chi volesse approfondire l’argomento matematico qui c’è il link per scaricarsi l’originale di Shannon.

Erano gli anni in cui al bombardamento di immagini televisive si affacciava un nuovo mondo che prendeva forma intorno all’invenzione di Tim Berners Lee del world wide web, un internet più semplice, un internet più accessibile. Si parlava anche di virtuale, ovvero di quello spazio mentale che si crea quando facciamo una telefonata oppure quando indossiamo un visore 3d. Ma non basta, la realtà virtuale diventava uno spazio abitabile e oggi assistiamo infatti a fenomeni come SecondLife. Ma è solo la punta di un icesberg che affonda le sue radici nel mare magnum di villagio globale, per dirla alla MacLuan, che unisce persone in tutto il mondo.

La percezione del virtuale è qualcosa di sottile, che si accende da qualche parte nel cervello, forse sono i neuroni mirror che oggi sembrano spiegare biologicamente la teoria informatica della comunicazione. Ecco come ne parla il suo scopritore il prof. Giacomo Rizzolatti dell’Università di Parma.

E’ possibile una teoria neuronale della conoscenza?
Il problema di come conosciamo è stato per secoli un problema esclusivamente filosofico. Le neuroscienze in genere o non affrontavano il problema o accettavano implicitamente una posizione empirista. Il cervello è una “tabula rasa”. Stimoli arrivano dal mondo esterno, le informazioni relative vengono organizzate, certe regolarità notate ed infine, quasi miracolosamente, il mondo esterno e gli eventi che in esso accadono acquistano un senso. In questi anni le cose sono cambiate. Le neuroscienze hanno sviluppato una serie di tecniche che appaiono essere in grado di affrontare problemi classicamente di pertinenza della filosofia. Questo sarà il tema generale della conferenza. In particolare verrà affrontato un problema cruciale: come facciamo a capire gli altri? Se vedo una ragazza che mangia una mela, come so che cosa sta facendo e, andando più a fondo, come faccio a capire le sue intenzioni, il perchè della sua azione? Eppure il problema può essere affrontato sia negli animali, usando tecniche che arrivano a livello cellulare, che nell’uomo con le nuove tecniche di visualizzazione dell’attività cerebrale. Esperimenti condotti in questi anni hanno portato alla scoperta di un sorprendente tipo di neuroni che può fare da tramite tra il sè e gli altri: i neuroni specchio (“mirror neurons”). Questi neuroni, scoperti nella scimmia, hanno una duplice proprietà. Da una parte si attivano quando la scimmia compie una azione, ad esempio prende un oggetto; dall’altra si attivano in maniera simile quando la scimmia vede un altro individuo, un’altra scimmia o un uomo, fare la stessa azione. Un’azione fatta da un altro fa “risuonare” nell’interno di chi osserva l’azione i neuroni che si attiverebbero se lui stesso facesse quell’azione. Nell’uomo il sistema “mirror” è stato dimostrato in maniera indiretta, mediante varie tecniche. Il sistema appare comprendere molteplici aree cerebrali, incluse le aree del linguaggio, ed intervenire, oltre che nella comprensione delle azioni, anche nella capacità di imitare, una capacità che in senso proprio appartiene solo all’uomo ed ai primati superiori. Le conseguenze di questi dati sono molteplici. Tra queste alcune sono particolarmente importanti. Primo, per comprendere gli altri dobbiamo prima creare delle conoscenze interne, degli “a priori” legati, come voleva già Helmoltz, al sistema motorio, il sistema che “verifica” le nostre conoscenze. Secondo, tra noi e gli altri c’è un legame empatico. Gli altri entrano continuamente in noi con il loro agire. Cio’ sia in caso di azioni “fredde”, prive di valenza emotiva, ma anche (gli esperimenti su questo punto sono però scarsi) anche per azioni emotivamente “calde”. Terzo, ogni analogia tra cervello e computer, come spesso si sostiene, cade non solo per le differenze di funzionamento, ma per la logica intrinseca del cervello che è strettamente legato al mondo esterno ed agli altri. Infine il sorprendente legame tra il nostro agire e quello degli altri potrebbe essere alla base del comportamento altruistico, come recentemente suggerito da Changeux, e rappresentare la base naturale, biologica del comportamento etico.
Giacomo Rizzolatti, 2000

Il designer del terzo millennio non può prescindere da un comportamento etico. Da un etica della comunicazione. Il problema è che credo che l’etica sia un qualcosa di cui non si debba parlare molto ma va espressa attraverso il fare giornaliero e nella capacità di esprimere pensieri che contemplino un rapporto ecologico con se stessi e con gli altri.
La scoperta della percezione è un processo di meraviglia che naviga su canali in cui l’energia con cui ci si rapporta con il mondo è spesso messa in crisi, ma sono convinto, come dice il prof. Carlo Infante, che dalla crisi può emergere un nuovo passo evolutivo.
Ritornando alla metà degli anni novanta ecco una riflessione sui nascenti spazi virtuali in rapporto alla funzione che stavano assumento le maggiori città nel mondo. Vi ricordo che in quegli anni la popolazione umana era in piena accelerazione e il grafico qui riportato fa vedere come si corresse verso i sei miliardi di abitanti della terra.


fonte: http://www.starch.dk/isi/energy/population.htm

La rivoluzione industriale è stata subito seguita da un’impressionante incremento demografico delle città, da un drenaggio umano delle campagne a profitto di uno sviluppo urbano senza precedenti. L’industria si insedia nei sobborghi, le classi operaie si riversano in periferia e la città cessa di essere un’entità spaziale ben delimitata. Si ha un’espansione non regolata e nasce il desiderio di dare un’organizzazione della spazio urbano. Tutto ciò che è visto come disordine richiama alla sua antitesi, l’ordine. A questo pseudodisordine della città industriale, si vedranno opporre delle proposte di organizzazione urbana liberamente costruite attraverso una riflessione che si sviluppa nell’immaginazione. Non potendo dare una dimensione pratica alla sua interpretazione della società, il pensiero si rifugia nella dimensione dell’utopia.
A lungo si è guardato all’utopia come ad un filone di pensiero che faceva un uso attento e liberante della speranza, all’homo utopicus come ad un profeta del futuro. “Un mappamondo -ha scritto Oscar Wilde- che non includa Utopia non merita neppure uno sguardo, poiché lascia fuori l’unico paese che l’umanità ha sempre avuto come approdo; e quando l’umanità vi approda, spinge lo sguardo e, scorgendo un paese ancora migliore, alza le vele”.
La metropoli, oggi, è un agglomerato urbano in cui la carenza di spazio in senso orizzontale ha portato ad uno sviluppo in verticale, caratteristica fondamentale è la fretta, la paura che il tempo possa finire; anche questo ha influenzato uno sviluppo verso l’alto, in questo modo si accorciano le distanze e vengono a ridursi i tempi morti dovuti al trasporto. Tutto ciò ha portato ad un limitato contatto umano, ad un’interazione col prossimo, la parola sta perdendo sempre più la sua funzione comunicativa, in quanto si delega il compito dell’informazione al computer oppure ad altri media.
Nascono così delle “comunità virtuali”, che si sviluppano intorno alla più grande metropoli, costituita da uomini e macchine, del mondo: INTERNET. Il successo delle comunità virtuali conferma una necessità latente di darsi un’immagine diversa di se stessi, di partecipare ad un teatro generalizzato. I progetti di comunità virtuali come “Virtual City” di Carl Loeffler prevedono esplicitamente la possibilità di prendere in prestito apparenze di cloni tridimensionali (avatar).
Bisogna riflettere sulle conseguenze che la diffusione di queste tecniche di clonazione avrà sul nostro sguardo di fronte agli altri e a se stessi. Cosa può diventare il nostro sguardo quando si deve supporre a priori che sia stato soggetto a manipolazioni numeriche prima di essere messo sulla rete? Si cercherà di ingannare la nostra vigilanza con tutti i mezzi, dotando i cloni di numerose finezze, ma lo sguardo non è una questione di texture o di animazione. Lo sguardo è prima di tutto intenzione, attenzione, testimonianza di una volontà, di un desiderio.
Vi è quindi una sorta di resistenza da parte dell’uomo verso la macchina, lo sguardo implica la presenza corporea e quindi una comunicazione tramite la parola, uno scambio di opinioni, di emozioni.
Abbiamo sintetizzato quanto detto sinora in una sorta di metropoli ideale in cui è necessaria la presenza fisica di ogni elemento ed un continuo scambio di messaggi affinché si abbia un corretto funzionamento, dando ad ogni componente un uguale importanza in quanto indispensabile per la vita della stessa. Il tutto è sviluppato in un piano razionale cercando di ottimizzare sempre al meglio lo spazio per un migliore controllo ed una maggiore possibilità di comunicare.
La scheda madre (mother board) di un computer è tutto questo, forse abbiamo dato vita ad una nuova idea utopica, comunque crediamo che una metropoli possa essere allo stesso tempo un ammasso di cemento ma anche un posto in cui l’uomo possa parlare e vincere così quel muro dell’alienazione nella massa che tanto affligge il nostro tempo.
Antonio Rollo, 1994


Metropolis - Antonio Rollo (ANDA) - 1994


Metropolis - Antonio Rollo (ANDA) - 1994


Metropolis - Antonio Rollo (ANDA) - 1994

Esercizio 7. Più elementi = Più Opzioni

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Utilizzando una delle foto qui allegate e la citazione

I designer migliori a volte ignorano i principi del design, ma solo perché sanno di poter ottenere risultati tali da compensare l'eventuale violazione di una regola. Salvo il caso in cui non si abbia la certezza di conseguire risultati altrettanto validi, è preferibile attenersi ai principi
∼ William Strunk

Sperimenta combinazioni di immagine e testo.

Usa un formato A4 verticale o orizzontale.

Sperimenta tagli e proporzioni differenti.

Esercizio 6. Più elementi = Più Opzioni

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Prendere da un giornale una notizia con titolo e un testo di almeno 50-70 parole

Usa un formato 15×22 verticale.

Sperimenta le giustificazioni del testo con titolo in alto

Usa caratteri con grazie e senza grazie alternando testo e titolo.

Usa un carattere sans serif che risulta più leggibile in una situazione al negativo

Sperimenta diverse posizioni, dimensioni, spaziatura, maiuscolo e minuscolo

Esercizio 5. Posizione > Sensazione – il negativo

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Ripetere l’esercizio 5 utilizzando un foglio nero con testo bianco.


Font: Impact
Size: 60px

In generale gli elementi bianchi su fondo nero appaino alla nostra mente più grandi rispetto ad elementi neri su fondo bianco.

Con questo esercizio entriamo nello studio della percezione o principi della Gestalt. Gestalt in italiano significa forma. La psicologia della forma nacque agli inizi del ’900 in Germania e proseguì negli Stati Uniti. Molti dei risultati ottenuti sono oggi principi del design che si applicano a diversi livelli, dalla carta al web, dall’architettura al design di oggetti.

Esercizio 4. Posizione > Sensazione

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Seleziona un formato 10×15 cm orizzontale

Componi una parola di almeno sette lettere, con un corpo adatto all’area di lavoro

Colloca la parola prima al centro e poi sperimenta altre tre posizioni

Componi la parola in un semicerchio

La posizione di un elemento è regolata da leggi che si sono evolute nel tempo. La natura stessa ha sviluppato capacità di adattamento all’interno di un contesto. La posizione esprimere funzionalità e sensazione. Quest’esercizio permette di studiare il rapporto figura/sfondo e le sensazioni che le diverse posizioni di una parola su un foglio riescono a trasmettere.

Disegnare diverse posizioni di parole come: forze, debole, dolce, amaro, leggero, pesante, chiaro, scuro, coraggio, paura.


Font: Impact
Size: 60

Esercizio 3. Le forme ci parlano

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Osserva questa lista di parole e disegna una serie di figure che ti richiamano il significato di ogni parola: ruvido, morbido, forte, debole, brutto, noioso, regolare, eccitante, banale, fluido, complicato, sofisticato.

Il vecchio detto “un’immagine vale più di mille parole” è legato alla nostra percezione della realtà. Il mondo si presenta alla nostra vista attraverso una varietà di forme e di colori. Iniziare ad esplorare le forme semplici e legarle a parole/concetti è un primo esercizio per comprendere la forza percettiva della comunicazione.

Una volta terminato l’esercizio associa ad ogni forma il contrario del significato delle parole. Il primo dovrebbe risultarci gradevole mentre il secondo appare assurdo e strano.

Figuracce

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Ovvero come trovarsi in disagio senza neppure accorgersene…

 
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Bellezza

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Può una formula matematica nascondere il senso della bellezza?

 
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Divismo

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Questa è la prima di alcune telefonata alla trasmissione domenicale Il diario del cuore di Valeria in onda tutte le domeniche sera su radiomanbassa. Appena tornato da Los Angeles in un Salento ancora tutto da scoprire… poi una domenica mi invitò in diretta e fu una trasmissione divertentissima in cui mischiavamo temi frivoli con temi profondi… ecco un’immagine di quella sera

 
icon for podpress  Il diario del cuore del 27 11 2005: Play Now | Play in Popup | Download

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